lunedì 9 marzo 2015

15 anni fa Papa Giovanni Paolo II: "Perdoniamo e chiediamo perdono, confessiamo le nostre responsabilità di cristiani per i mali di oggi. La Chiesa di oggi e di sempre si sente impegnata a purificare la memoria"

(Alessandro Notarnicola) L'atto del perdonare è sin da sempre stato posto al centro delle riflessioni dell'uomo, anche prima che nascesse e si diffondesse il cristianesimo. L'uomo relazionandosi alla storia e al proprio presente ha sempre avvertito il bisogno di superare le disarmonie e i conflitti tragici del passato anche attraverso atti di clemenza. «Pietro domandò: 'Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?'. Gesù gli rispose: «Non dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette » (Mt 18, 21-22). Nel mondo di comune radice ebraico-cristiana l'atto del perdonare rappresenta la massima donazione di sé, ma anche uno stato penitenziale di riconoscimento e cambiamento dei propri limiti.
Proprio questa è la ragione prima che ha guidato uno dei momenti più importanti (e storici) del pontificato di Papa Giovanni Paolo II, il quale il 12 marzo del 2000 abbracciando e baciando il crocifisso nella Basilica di San Pietro chiese sette volte perdono, assieme a 7 altri cardinali capi-dicastero (tra i quali vi era anche l'allora cardinale Joseph Ratzinger) che durante la messa recitarono sette invocazioni per gli errori commessi nel corso dei secoli, intercalate dal canto del «Kyrie eleison» (Signore pietà).
La Giornata del Perdono del 12 marzo 2000 è senza dubbio alcuno un atto penitenziale senza precedenti all'interno della storia, tanto che per organizzare e motivare l'evento era stato redatto dalla Commissione Teologica Internazionale il documento Memoria e Riconciliazione: La Chiesa e le colpe del passato, presentato alla stampa internazionale dai cardinali Roger Etchegaray e Joseph Ratzinger, dal vescovo Piero Marini, dai teologi Georges Cottier e Bruno Forte (Presidente del gruppo di lavoro che aveva preparato il documento).
Il 12 marzo del 2000, prima domenica di Quaresima, la Chiesa cattolica ha riconosciuto le colpe commesse dai cristiani in 2000 anni di storia, nella cornice dell'Anno giubilare che per sua natura è stato celebrato come un momento di piena conversione. "Come Successore di Pietro", queste le parole di Papa Giovanni Paolo II pronunciate e trasmesse in Mondovisione in quell'occasione contraddistinta da connotati storici e inediti, nella basilica di San Pietro, "chiedo che in questo anno di misericordia la Chiesa, forte della santità che riceve dal suo Signore, si inginocchi dinanzi a Dio ed implori il perdono per i peccati passati e presenti dei suoi figli. Tutti hanno peccato e nessuno può dirsi giusto dinanzi a Dio (cf. 1 Re 8, 46)... I cristiani sono invitati a farsi carico, davanti a Dio e agli uomini offesi dai loro comportamenti, delle mancanze da loro commesse. Lo facciano senza nulla chiedere in cambio, forti solo dell'" amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori" (Rm 5, 5) (Incarnationis Mysterium, 11; cf. Tertio Millennio Adveniente, 33). La Chiesa, che in occasione delle celebrazioni giubilari "chiede perdono per le colpe storiche dei suoi figli" offrendo al mondo "lo spettacolo di modi di pensare e di agire che erano forme di antitestimonianza e di scandalo", ammetteva così il mea culpa voluto espressamente da Papa Wojtyla che aveva deciso di misurarsi con le responsabilità dei cristiani, ponendo quel Miserere per i peccati commessi al centro del Giubileo nel bimillenario dell'evento cristiano, poiché per varcare la soglia del nuovo millennio essa aveva sia il bisogno che il dovere di purificarsi, nel pentimento, da errori, infedeltà, incoerenze e ritardi.
Giovanni Paolo II 15 anni fa, dimostrando di conoscere bene il peso che il passato è ancora in grado di esercitare alla fine del secolo dei genocidi, confessava i peccati commessi dai cristiani nel corso dei secoli fino all'età contemporanea, nella coscienza che la Chiesa è un soggetto unico nella storia, "una mistica persona".
La prima invocazione apparve come un'esortazione generale a confessare i peccati, a purificare la memoria e a impegnarsi «in un cammino di vera conversione». Ad essa che aveva i parametri di una premessa ne seguirono sei specifiche confessioni di peccato, per altrettante «colpe» storiche e attuali, dai peccati commessi usando la forza e la violenza a servizio della fede, nelle divisioni tra Chiese accompagnate da scomuniche e persecuzioni, con l'antigiudaismo che ha dato luogo a vere e proprie persecuzioni degli ebrei, operando conversioni forzate, predicando la sottomissione delle donne e giustificando lo schiavismo, rendendosi corresponsabili di ingiustizie sociali.
I cristiani del presente, spiegò il Pontefice, non pensano di essere "migliori dei loro padri", ma rispetto a quanto si potrebbe dire, essi secondo le parole del pontefice polacco hanno il desiderio di riconoscere quali nella storia sono stati oggettivamente errori di comportamento rispetto al Vangelo e allo Spirito di Cristo. Per questo nella confessione si indicano in modo chiaro alcune mancanze storiche, ma non si giudicano né si nominano i responsabili: "Confessiamo, a maggior ragione, le nostre responsabilità di cristiani per i mali di oggi. Dinanzi all'ateismo, all'indifferenza religiosa, al secolarismo, al relativismo etico, alle violazioni del diritto alla vita, al disinteresse verso la povertà di molti Paesi, non possiamo non chiederci quali sono le nostre responsabilità. Per la parte che ciascuno di noi, con i suoi comportamenti, ha avuto in questi mali, contribuendo a deturpare il volto della Chiesa, chiediamo umilmente perdono". Ma nello stesso tempo, la Chiesa ponendosi a capo di un cammino di riconciliazione nell'anno giubilare non si limitò a riconoscere e ad ammettere le proprie responsabilità cosicché ad esse aggiunse l'atto del perdono di tutti i mali che avevano arrecato dolori e sofferenze, divisioni e spargimenti di sangue nei confronti della comunità cristiana, non è infatti un caso che la speciale liturgia che si celebrò quel giorno era intitolata “Confessione delle colpe e richiesta di perdono”. "Nel corso della storia", proseguì il Santo Padre, "innumerevoli volte i cristiani hanno subito angherie, prepotenze, persecuzioni a motivo della loro fede. Come perdonarono le vittime di tali soprusi, così perdoniamo anche noi. La Chiesa di oggi e di sempre si sente impegnata a purificare la memoria di quelle tristi vicende da ogni sentimento di rancore o di rivalsa. Il Giubileo diventa così per tutti occasione propizia per una profonda conversione al Vangelo. Dall'accoglienza del perdono divino scaturisce l'impegno al perdono dei fratelli ed alla riconciliazione reciproca".
A conclusione di quella liturgia penitenziale, Giovanni Paolo II pronunciò cinque “mai più” che suonano come una delle utopie evangeliche più forti che siano state affermate nell'epoca moderna: “Mai più contraddizioni alla carità nel servizio della verità, mai più gesti contro la comunione della Chiesa, mai più offese verso qualsiasi popolo, mai più ricorsi alla violenza, mai più discriminazioni, esclusioni, oppressioni, disprezzo dei poveri e degli ultimi”. Per certi versi il pontificato wojtyliano passa alla storia come il magistero del "perdono" e del "pentimento" e dunque di un pieno riconoscimento che si inserisce nella cornice del dialogo ecumenico e nell’impegno interreligioso. Sono infatti più di un centinaio le occasioni in cui la Chiesa post-conciliare ha riconosciuto di anno in anno “errori” e “colpe” del passato e del presente storico, o ha invitato i cattolici ad applicarsi a questo “esame autocritico" (soprattutto in rapporto a genocidi e persecuzioni contemporanei): si pensi al "caso Galileo" del 1979 sul quale tra l'altro si era già pronunciato il Concilio Vaticano II, al paragrafo 36 della Gaudium et Spes (1965) (al quale si somma il profondo pentimento espresso il 17 febbraio del 2000, nel 400° anniversario del "rogo" di Giordano Bruno). Si pensi ancora alla visita del pontefice polacco alla sinagoga di Roma del 13 aprile del 1986 nella quale occasione Wojtyla non mancò di associare alla Chiesa parte delle circostanze che avevano consentito la drammatica notte della Shoah: “Hitler potè perpetrare l’Olocausto perché non ci fu una sufficiente sensibilità dei cristiani verso gli ebrei”, dirà il card. Ratzinger in un’intervista al Tg2 il 15 marzo 1999 in vista della pubblicazione del documento We remember, rimarcando l'intervento del Pontefice rivolto agli Ebrei romani. Sull' antigiudaismo si è tenuto in Vaticano un simposio (1997) in occasione del quale Giovanni Paolo affermò che «la resistenza dei cristiani» alla persecuzione nazista degli ebrei «non è stata quella che l' umanità era in diritto di aspettarsi dai discepoli di Cristo» (31 ottobre 1997).
 A questi due principali momenti storici possiamo aggiungere le dichiarazioni di denuncia e di profondo rammarico del Papa sulla colonizzazione dei cristiani nei confronti dei popoli indigeni, sulle colpe della cristianità latina medievale, sul massacro tribale del Rwanda del quale anche i cattolici ne erano responsabili, sulla «la gravissima e turpe ingiustizia» della tratta dei neri, e sui peccati compiuti contro la giustizia sociale: verso gli ultimi, i poveri, i nascituri, ingiustizie economiche e sociali che hanno dato principio a un vastissimo "peccato" di emarginazione.
Rarissime sono state però le occasioni in cui le autorità ecclesiali - papa, vescovi o concili - hanno riconosciuto apertamente le colpe o gli abusi di cui si erano rese esse stesse colpevoli. Un esempio celebre è fornito dal papa riformatore Adriano VI che riconobbe apertamente, in un messaggio alla Dieta di Norimberga del 25 novembre 1522, " gli abomini, gli abusi [...] e le prevaricazioni " di cui si era resa colpevole " la corte romana " del suo tempo, " malattia [...] profondamente radicata e sviluppata ", estesa " dal capo ai membri ". Adriano VI deplorava colpe contemporanee, precisamente quelle del suo predecessore immediato Leone X e della sua curia, senza tuttavia associarvi una domanda di perdono.
Bisognerà attendere Paolo VI per vedere un Papa esprimere una domanda di perdono rivolta tanto a Dio, che a un gruppo di contemporanei. Nel discorso di apertura della seconda sessione del Concilio il Papa " domanda perdono a Dio [...] e ai fratelli separati " d'Oriente che si sentissero offesi "da noi " (Chiesa cattolica), e si dichiara pronto, da parte sua, a perdonare le offese ricevute. Nell'ottica di Paolo VI la domanda e l'offerta di perdono riguardavano unicamente il peccato della divisione tra i cristiani e supponevano la reciprocità.
Lo studio del tema "La Chiesa e le colpe del passato" è stato proposto alla Commissione Teologica Internazionale da parte dell'allora Presidente, il Card. J. Ratzinger, in vista della celebrazione del Giubileo dell'anno 2000. Per preparare questo studio venne formata una Sottocommissione che lavorando sulla Bolla di indizione dell'Anno Santo del 2000 Incarnationis mysterium (29 novembre 1998), si inserì nel processo volto a liberare la coscienza personale e collettiva da tutte le forme di risentimento o di violenza per approdare ad un corrispondente riconoscimento di colpa, contribuendo ad un reale cammino di riconciliazione.

Nell'introduzione del documento intitolato La Chiesa e le colpe del passato, reso noto il 7 marzo del 2000 dunque a soli 5 giorni dalla storica cerimonia del perdono tenuta in San Pietro da Papa Giovanni Paolo II, si legge che la purificazione della memoria richiede "un atto di coraggio e di umiltà nel riconoscere le mancanze compiute da quanti hanno portato e portano il nome di cristiani", e si fonda sulla convinzione che "per quel legame che, nel corpo mistico, ci unisce gli uni agli altri, tutti noi, pur non avendone responsabilità personale e senza sostituirci al giudizio di Dio, che solo conosce i cuori, portiamo il peso degli errori e delle colpe di chi ci ha preceduto".
(Articolo pubblicato anche su "Il sismografo")